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Volevo morire, la moto mi ha salvato la vita

21/09/2023
Sabrina Godalli
Pubblicato in: ,

Wow che titolone! Raga, che intro ad effetto che ho messo giù stavolta, eh? Sai mai che, magari, incuriositi da quello che può essere scritto, vanno a leggere anche utenti che non sanno nemmeno dell’esistenza di Miss Biker o mia…

No, non è un titolo ad effetto. Ma zero proprio. È una frase con pochissime parole, a livello di grammatica è anche abbastanza semplice come struttura. Eppure queste parole sono fuoco e ghiaccio insieme, sono morte e vita insieme, sono nero e bianco insieme ma con in mezzo un arcobaleno di colori. Tutte le sfumature della vita di ognuna di noi che, per un attimo soltanto, o per un tempo che sembrava non finire mai, si è trovata per la mente un pensiero come quello. Lapidario, brutale, tanto sincero che fa perfino male e, appunto per la sua sincerità, di una potenza immane. 

Volevo smettere di vivere, non ce la facevo più, ero arrivata al limite della sopportazione, non riuscivo più a essere felice, non riuscivo più a sognare, stavo male, la malattia sembrava voler portarmi via tutto. Sono frasi, sensazioni, che si sono mosse, e si muovono, nella mente di tante persone. Molte di più di ciò che le maschere che ci obbligano, o ci obblighiamo da soli, a portare cercano di nascondere.
Sono tante le donne, ma anche uomini, che scelgono di non vivere più ogni anno in Italia. Un articolo di Sanità Informazione di marzo 2023, attraverso il presidente di ENPAP (l’ente di previdenza e assistenza per gli psicologi), spiega che nel nostro paese assistiamo a un suicidio ogni 16 ore.
Dopo la pandemia, e tutti i problemi economici, psicologici e sociali, che ha innescato, la media sembra quasi salire e si abbassa anche l’età delle vittime con dei dati preoccupanti per i giovanissimi.

La mia esperienza personale, e i luoghi comuni che questa società ancora si porta appresso, mi hanno insegnato che il male di vivere, come scriveva Montale (Eugenio, maestro di poesia, quando ero alle scuole superiori ero costretta a studiarti, ora mi costringo volentieri a cercarti…), non è un qualcosa di cui parlare. Non si bisogna sentirsi tristi, non bisogna stare male, non bisogna riconoscere ed ammettere a sé stessi una sconfitta, non bisogna perdere, non bisogna, non bisogna, non bisogna…

Non è socialmente conveniente tirare in ballo questi argomenti in pubblico, non si fa, che non sia mai, o diventi una persona scostumata nell’anima. Quell’assenteismo affettivo che si trovano attorno le persone che sentono dentro il buio farsi strada lievita a dismisura fino a alveolare nello stereotipo de “i panni sporchi si lavano in casa”, frase che non sopporto veramente più.

Non c’è niente di cui vergognarsi. Assolutamente niente. Nella vita dell’essere umano esistono momenti di estrema gioia, di incontenibile felicità e, proprio perché esistono sentimenti come la gioia e la felicità, esistono anche i loro esatti contrari. Esistono la depressione, l’ansia, i disturbi e le malattie psicologiche. La persona che non ha più la forza dentro di sé di continuare, prende delle decisioni che cambiano il corso della vita. La sua e quella di chi ha più vicino. Accettare di farsi aiutare è già un passaggio meno oscuro rispetto all’essere costretti a farlo. La via d’uscita c’è: difficile, dolorosa, piena di medicine a forma di pastiglie con dimensioni microscopiche dai nomi incredibili con effetti quasi spaventosi, in salita, in arrampicata, ma esiste. Esiste, dal verbo esistere che significa “essere nella realtà, far parte delle cose reali”.

Nel nostro caso leggo, condivido, ascolto, sento, nel senso che spesso le sento addosso quasi come se fossero un tocco fisico, le storie di chi ha scoperto che la via del ritorno alla luce c’è grazie a quello che viene definito un oggetto: la moto. Sì, la moto. La passione per le due ruote scoperta in giovane età e poi lasciata sopire, l’interesse esploso da adulte, quando tutto ciò, secondo il libro intitolato “stereotipi”, non dovrebbe succedere, quella voce che dice di provarci, di fare un giro, di mettere 15 o 20 euro di benzina dentro quel contenitore con il tappo sopra che si chiama serbatoio.
Quella che sembrava una pazzia, una stranezza, un momento che poi, ma sì, passa, ti riporta alla vita. Chi è uscita dalla depressione, da una storia d’amore finita male, o terminata prima ancora di poterla iniziare; chi ha avuto un aborto, la diagnosi di sterilità, un figlio perso o un lutto molto personale e vicino, il cancro che non molla, un caro ammalato, la perdita del lavoro, una violenza subìta. Gli esempi sono tanti e, anche attraverso Miss Biker, sempre più donne condividono la loro testimonianza. Non un sentito dire, ma storie vere, di diagnosi e guarigioni, percorsi e psicologi.
I social possono essere un buon punto di incontro virtuale per esporre la nostra storia, le nostre ferite più o meno rimarginate, le cicatrici fisiche o nell’anima. La moto come comune denominatore. Veicolo di confronto e incontro, il batticuore per l’iscrizione a scuola, le guide e l’esame. Il primo casco e mannaggia a quella caduta da ferma davanti a tutti, domande e consigli, un appuntamento al bar e fare due curve, partecipi al giro? Vengo con te, sai da sola ancora non me la sento. Sono i passi in discesa di quel percorso che sembrava non finire mai. Il sentirsi libere, il voler provare. Il giubbotto in pelle e gli stivali presi con i risparmi che ti fanno sentire un po’ come i cavalieri medievali o i guerrieri delle storie fantasy. Ogni tanto quel buio sembra voler parlare ancora all’orecchio con te perché ti ha conosciuta e, allora, preferiamo scalare una marcia e accelerare un po’ per dare voce piuttosto al motore e allo scarico. 

Le moto. Perché proprio una moto? Premesso che le passioni sono il nucleo fondamentale della vita umana, qualsiasi esse siano, forse quella per la moto è una storia a sé. Tante persone che hanno sconfitto la solitudine affettiva scoprendo un hobby, uno sport, un passatempo, chiamatelo come meglio credete, dove sei …sola. In moto si è soli, fondamentalmente. No? Non abbiamo una squadra con cui collaborare, un team di cui far parte. Chi guida la moto è solo una persona. E perché non ci si sente soli con una moto vicino? Perché le moto, semplicemente, non sono soltanto oggetti. Le moto, se ti poni al loro livello, ti parlano. Cercano una connessione con chi le guida e il pilota sente il suo mezzo. Le moto che non sono soltanto metallo e plastica, luci e pneumatici, ma hanno dentro di loro un’anima. Una compagna fidata in strada. Beh, aspe, fidata dipende, soprattutto se sono vecchie Ducati…Dicevo, quasi sempre fidate, che ti fanno compagnia, esseri con cui parli e ti confidi, conversando amabilmente con loro, oppure no, dentro al casco.
Nei giorni più belli, ti portano sull’asfalto che non ti accorgi nemmeno del caldo, del freddo, della fame o della stanchezza. In un momento un po’ incasinato, sentono che tu non sei in forma e ti sopportano e supportano, e viceversa. Ti accompagnano in luoghi vicinissimi ma in cui sei estraniata dal mondo, oppure in posti lontani migliaia di chilometri da casa in cui ti senti in pace e piena di entusiasmo. Ti danno la forza per accantonare i brutti ricordi, per sorridere di nuovo, per sognare, per voler dire a un’altra persona in difficoltà “…ti posso aiutare”.

Esiste un gruppo di supporto in UK, si chiama Mental Health Motorbike, che si occupa di dare assistenza a chi ha bisogno di una mano in momenti di grave difficoltà sensibilizzando poi le persone sul problema dei suicidi con eventi, sponsor, dibattiti oppure, molto semplicemente parlandone, senza nascondersi. Lo fanno attraverso le moto, ognuno con la propria. La moto che ti fa vivere, la moto che ti fa bene, un gran bene. Un ulteriore luogo comune che troppo spesso sentiamo attorno a noi è che le moto sono pericolose. Anche in questo caso voglio, pretendo, mi pongo come obbiettivo di dimostrare il contrario: le moto sono pericolose se vengono utilizzate nel modo sbagliato, sono pericolose se non vengono guidate con intelligenza e coscienza, sono pericolose se non si dà loro il rispetto che richiedono. Se vengono usate con passione, le moto salvano. 

Le moto salvano.

La matematica spiega, attraverso i dati, che ogni 16 ore una persona non c’è più. Provate a pensare quanti chilometri, quanti paesaggi, quanti incontri, quanti sorrisi si possono scoprire e si possono vivere in 16 ore. Questo mio scritto lo dedico a chi di voi si è rivista in quello che ho raccontato, lo dedico a chi sta iniziando a stare meglio dopo aver sofferto tanto ma, più di tutto, lo dedico a chi ora non vede via d’uscita. Se i pensieri che occupano la vostra mente sono talmente brutti da farvi paura, chiedete aiuto. Il medico di famiglia, gli psicologi, gli psichiatri, i farmaci sono degli strumenti per poter guarire. Sono strumenti seri ed estremamente importanti da usare con forza d’animo e serietà, ma ci sono. 

Le moto salvano. Las motos salvan.

Sabrina Godalli

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