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Su due ruote, dritta all’isola Lesbo

11/08/2023
Sabrina Godalli
Pubblicato in: ,

Sinceramente, mi sono rotta le balle. Si può usare un francesismo di questa portata per esprimere con tutta la sincerità possibile quello che si pensa? In particolare, quello che io, direttamente, dentro di me, penso? Sì? No? Come dite, non si può? Non si dicono le parolacce. Avete anche ragione, lo dico sempre alle mie figlie che non si devono dire le parolacce. Però insegno loro anche a portare avanti i propri ideali e i loro progetti a testa alta. Avendo io partorito ben tre femmine, ho di che sbizzarrirmi per un bel po’ ancora, visti i pregiudizi e i preconcetti che ci sono in giro, e che mi sento dire con una frequenza ridicolmente imbarazzante.

Partiamo dall’inizio: ho nominato Lesbo. Lesbo è un luogo fisico. Un’isola nel Mar Egeo. Esiste, non è un luogo di fantasia. Bene, questa isola ha visto nascere la poesia di una ragazza, Saffo. Saffo per l’appunto era una poetessa, figlia di una famiglia facoltosa, le uniche famiglie che potevano partecipare a questo tipo di attività (in pratica perdere tempo durante la giornata per studiare, discutere, scrivere) riconosciuta successivamente anche dai Latini e nominata da altri autori in periodi successivi. Riconosciuta, secondo alcuni studi, perché parlava dell’amore e dell’attrazione tra due persone dello stesso sesso. Ora, cosa c’entra tutto ciò con le moto? C’entra perché da qui voglio partire per raccontare quello che mi è successo. E voglio scrivere e condividere perché, come mi diceva l’intuito, non ero, non sono, l’unica a cui sono successi episodi simili.

Veniamo al dunque. Cerco di trattare l’argomento in maniera seria ma, fidatevi, che in certi momenti sono scoppiata a ridere perché la situazione, a mio parere, era ridicola. Persona X che, scambiando due parole di cortesia al lavoro, mi dice: “Mah, secondo me, vista la passione che hai per le moto, sei lesbica”. Un’uscita di questo tipo me la sono sentita dire mesi fa, per l’appunto al lavoro. Non da colleghi, tengo a precisare, ma da personale di altre aziende. È successo di nuovo, poi ancora, in tempi più recenti. Questo da persone diverse, in momenti diversi. Succede poi che, per puro caso, mi imbatto su Facebook nei classici post “suggerito per te”. È la foto di una ragazza che guida la moto in una curva di una strada di montagna. Non si capisce nemmeno molto bene che si tratta di una ragazza, a primo acchito; la descrizione sopra la foto lo spiega. Tanti sono i commenti sottostanti e ce ne sono molti che si meravigliano del fatto che sia una donna a guidare. Mi chiedo se, esistendo un gruppo come Miss Biker, e altri club di motocicliste, sia ancora così strano vedere una donna in moto. Tra le varie opinioni, leggo “Tanto di solito (le donne in moto) sono lesbiche”. Mi viene da ridere e ci passo sopra, come avevo fatto le altre volte, senza dare troppa importanza alla cosa. Poi ci ripenso e decido di condividere questo fatto sul mio profilo Facebook. Smuovo un bel po’ di reazioni e ho la conferma che le stesse opinioni non richieste sono state elargite anche ad altre ragazze. Tengo a precisare in modo chiaro una cosa: non ritengo assolutamente un’offesa il fatto che qualcuno mi abbia detto che sono lesbica. Non ci penso proprio. Per me le persone possono amare chi vogliono e ben venga perché sono assolutamente sicura che amare e non condividere sia una delle peggiori condizioni che si auto impone l’umanità. Sarei molto meno contenta di sentirmi dire fannullona, falsa, o aggettivi simili. Però…però, se io guido una moto sono una lesbica? Ma, soprattutto, è un aspetto di cui occorre commentare? È necessario avere, ancora, degli schemi e delle etichette in base alla passione o alle inclinazioni di ognuno? Sembra proprio di sì. 

Siamo arrivati in un’epoca in cui l’orientamento sessuale di una persona non deve precludere e non deve pregiudicare la sua vita, in ambito lavorativo, personale, scolastico, sportivo, comunitario, nel tempo libero. Avere una passione, magari fortissima, per un determinato hobby, non deve farmi rientrare, io come individuo, all’interno di una categoria. Ci possono essere ragazze che amano la moto che possono a loro volta amare un ragazzo, una ragazza, la propria vita, la propria libertà. Questo si deve rispecchiare anche nell’ambito maschile. Questo mio pensiero, questa mia condivisione, questo mio scritto, non è assolutamente uno stendardo da tenere alto in una qualche parata pseudo militare dove le donne si vogliono mettere in primo piano soverchiando gli uomini nel vincere diritti che avremmo voluto poter avere decenni fa. Come noi donne vogliamo portare avanti i nostri obiettivi, e i nostri sogni, nella vita privata e nel lavoro, con gli amici e nella società, anche gli uomini devono poterlo fare. Nessuno dei due deve essere inscatolato e messo in categoria.

Questo mi ha insegnato Miss Biker: ad ascoltare, vivere e ragionare su esperienze diverse di donne per altre donne che, prima di tutto, sono persone. Non ci sono categorie, non ci sono livelli, non c’è chi è più donna di altre, più motociclista. Sicuramente c’è il rispetto nei confronti di tutte, motivo per cui questa community è per molte un luogo sicuro in cui potersi confrontare, senza la preoccupazione di un giudizio nei propri confronti. In quella che può essere definita una tribù, ci sono ragazze, ci sono mamme e ci sono figlie, ci sono nonne e nipoti, ci sono amiche e conoscenti, ci sono compagne e sorelle e l’unico marchio che ci piace avere addosso è il nostro logo con le ali. 

Sabrina Godalli

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