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Lucia Baroncelli: “Furio mi ha letteralmente salvato la vita”

22/08/2023
Lisa Cavalli
Pubblicato in: ,

Ho scoperto la storia di Lucia da un articolo di giornale che titolava: “Forlì, Lucia e la sua moto del 1977: “Il mio viaggio solitario di 7mila chilometri”. Le sue parole traspiravano gioia e freschezza, voglia di essere se stessa senza dover costruire un personaggio simile a tanti altri.
Le ho così scritto per saperne di più e ci siamo sentite al telefono. La mia prima impressione era esatta, Lucia è proprio contagiosa nella sua voglia di vivere e nel suo amore per la moto.

Ciao Lucia, inizio subito dalla più canonica delle domande: com’è nata la tua passione per la moto?

Ho sempre sentito una forte attrazione per le moto: fin da piccola le ammiravo per strada, in rivista, alla TV. Mi ricordo che quando avevo 13 anni ero innamorata della Ducati Monster.
Mi fa sorridere questa cosa. Non che la Ducati Monster sia una brutta moto. Mi ricordo che quando ne vedevo una per strada rimanevo immobilizzata una ventina di minuti per scrutarla in tutti i suoi dettagli. Mi piaceva un sacco la forma del suo serbatoio.
O ancora, sempre da piccina e d’estate andavo al mare con la famiglia, ci fermavamo a mangiare la piadina in un chiosco a Cervia. Qui ero felice perché potevo mettermi a sfogliare le riviste di moto nell’attesa che fosse pronto il nostro ordine. E poi parcheggiavano davanti al chiosco dei bolidi, e mi gasava un sacco sentire il loro rombo quando ripartivano. Ero felice quando si tornava a casa dal mare: mio babbo puliva le cozze e poi subito dopo pranzo sentivo il rombo delle supersportive alla MotoGP. Quelli per me erano i veri momenti di pace in famiglia.
Un ricordo di felicità e adrenalina che col tempo poi è riemerso, come una balena dalle profondità degli abissi.

Hai scelto una moto d’epoca. Perché? Non avevi paura che fosse poco comoda rispetto alle moto moderne? Raccontaci di Furio.

Non ho mai guidato una moto, come si direbbe “moderna”, prima della mia Honda: fu un vero e proprio colpo del destino.
Nel 2018 ero alla ricerca della mia prima moto, e pensavo a una Ducati Monster.
Ma inaspettatamente e senza bussare arrivò Furio: fu un colpo di fulmine. Mio padre tramite alcune amicizie venne a sapere di questa Honda Four 400 super sport del 1977. Se devo essere sincera, manco sapevo che moto fosse. Partivo da zero, da sola, senza aver mai guidato prima nemmeno un cinquantino.
Era il 2018 dicevo.  In quegli anni ebbi una di quelle piccole delusioni della vita che ti fanno rigirare le budella, e dalle quali non puoi fare altro che rinascere. Dovevo trovare il modo di ripartire e capii che per andare avanti, dovevo INIZIARE A FARE QUALCOSA.
Allora decisi di iniziare a fare quello che non avevo mai fatto, l’idea di poter esserci io là sopra, sulle due ruote, mi faceva sentire felice e libera da qualsiasi preconcetto.
Per me iniziare a girare con una moto del genere significava iniziare ad essere motociclista.
Un colpo di fulmine perché salita in sella la prima volta, non appena sentito il rombo gli avevo già dato il nome: “Furio ti chiamerai! Da Honda Four,  una Furia”.  Si dà sempre un nome a tutto ciò che si ama. Un sound unico nel suo genere, di quelli che non se ne sentono più in giro. Ti entra nei ventricoli del cuore, fino allo stomaco…penso che questa sensazione sia simile a quando si è innamorati.
E non è mai passato questo “sfarfallare” che percepisco ancora oggi quando sento il rombo di Furio.
I nostri primi giri furono per le colline romagnole, poi tratte sempre più lunghe fuori regione, fuori dall’Italia, anche di 800\900 km in una giornata. Non che non abbiamo mai avuto problemi o contrattempi, ma in un modo o nell’altro siamo sempre tornati a casa. Da qui l’idea che assieme saremmo potuti andare ovunque.

Parliamo del viaggio in solitaria. Qual è stata la scintilla che ti ha fatto venir voglia di partire? Quali sono le cose che ti hanno stupito di più e quali intoppi (se ce ne sono stati) hai dovuto superare?

Non è stata una scintilla, ma una presa di coscienza. Io ho sempre sentito di dover partire. Anche da molto giovane, prendevo treni da sola, e andavo. Solo che sta volta avevo finalmente un compagno di viaggio: Furietto.
E quindi dicevo, tratte sempre più lunghe, fino a che due anni fa, come ad ogni motociclista che si rispetti, iniziò a rodermi in testa IL TARLO:
un tarlo rode, rode , rode, finché poi ti decidi e parti. Quel tarlo si chiama Capo Nord.
Nel 2022 feci rifare il motore a Furio, e così io e il mio ferro ci preparavamo per il Viaggio dell’anno successivo.
Peccato che una notte di febbraio, di quest’ anno, mi svegliai di punto in bianco nel cuore della notte e: ” Ci vanno tutti a Capo Nord! In bicicletta, a piedi, in vespa, saltellando con la corda…”pensai… non era un viaggio che sentivo MIO.
“Oh sì, ora sì che sei una vera motociclista, ora che sei andata a Capo Nord!” No, non era questo quello che mi interessava sentirmi dire . Volevo solo fare un viaggio in cui potevo esprimere me stessa. Amo fare foto e video, amo la natura, passare dal caldo al freddo, dal freddo al caldo, mettermi alla prova , diversificare le esperienze. E il viaggio di andata e soprattutto di ritorno a Capo Nord non mi rappresentava affatto.
Erano circa le due di notte, mi misi a sfogliare una rivista di moto, e vidi l’Irlanda: “Bellissima l’Irlanda, quante cose ci sono da vedere lì, e le strade, un sogno da percorrere ad occhi aperti!”
Mentre stavo quindi programmando il viaggio di andata in Irlanda, ma soprattutto mentre stavo programmando il viaggio di ritorno dall’Irlanda, vidi un traghetto: Rosslare (sud Irlanda) – Bilbao (nord Spagna) . Bellissimo! Dopo 12 giorni di freddo, pioggia e vento, voglio farmi 12 giorni di caldo! E da qui poi il tour in Spagna e l’idea di andare al mare ad Ibiza, che non è una meta motociclistica rinomata. Ad i Ibiza ci vanno i ragazzi per divertirsi, io volevo andare finalmente al mare, al caldo per rilassarmi. Un viaggio di 7000 km che è nato da un tarlo che non aveva ragione d’essere. Ci sono stati luoghi, specialmente in Irlanda che mi resteranno sempre nel cuore, come la bellissima e magica foresta “The Dark Hedges”, nel Nord dell’Irlanda, scenario della serie TV “Il Trono di Spade “;  sono rimasta folgorata poi dalla selvaggia Wild Atlantic Way, non solo una strada che costeggia le scogliere più belle d’Irlanda a picco sul mare, ma un vero e proprio stile di vita. Qui il viaggio si fondeva con uno spirito, quello dell’adattamento e dell’improvvisazione: dal Nord dell’ Irlanda fino alle punte più estreme del Sud la pioggia costante assieme al vento imperterriti, sono state le costanti che ci hanno messo davvero alla prova. Ad un certo punto in preda alla disperazione per la pioggia continua, zuppa in ogni dove, ho indossato i guanti gialli da cucina, e li ho capito che era un punto di non ritorno: finalmente ero libera di sentirmi folle, in una folle Irlanda che non ti dà mai un attimo di tregua.

Furio ed io abbiamo avuto anche un paio di momenti di sconsolazione, superati anche fin troppo bene: il primo riguardante un piccolo contrattempo sulla Ring of Kerry, bellissimo percorso panoramico a ovest dell’ Irlanda. Nel bel mezzo di questa strada siamo rimasti con la gomma posteriore a terra: lo pneumatico era sgonfio, ma non era forato. Grazie all’ aiuto di tre motociclisti irlandesi, che come tre angeli sono sopraggiunti dal nulla e nel nulla se ne sono ritornati, siamo riusciti a gonfiare con un mini compressore portatile la gomma, per ripartire per 70 km fino al luogo del pernottamento. La mattina seguente sfortunatamente lo pneumatico era di nuovo sgonfio. Forse era un problema della valvola. Gonfiai la “scarpetta del principino” con una misera pompa da bicicletta, strinsi bene il bulloncino della valvola e dopo un ulteriore pompatina con un compressore dal benzinaio non ci fermammo più. Se non al nostro secondo “contrattempo”: a 35 km da Barcellona, dovevamo prendere l’ultimo traghetto per rientrare in Italia, dopo 7000 km ci intoppammo nuovamente: io sono finita una notte in ospedale e Furio in un deposito ad una quindicina di km da me. Ma neanche un piccolo incidente ci fermò: il giorno dopo presi un treno, raggiunsi la mia belva al deposito e iniziai a sbullonarla per capire come farla ripartire. Di fatto la forcella era tutta piegata, ma è bastato svitare il parafango per proseguire in giornata e prendere il traghetto del ritorno.
Durante la notte precedente passata in ospedale pensavo in continuazione che la vicenda accadutami a così pochi km dalla fine fosse un fallimento. Poi ripensandoci capii che era una conquista: io, Furio, solo noi due in un viaggio così NOSTRO, anche questo intoppo ci ha reso più autentici, e nonostante tutto siamo tornati a casa.

Che tipo di viaggio ami fare? Dove alloggi solitamente? Quali sono gli oggetti che non devono mancare nel tuo bagaglio?

La mia “tecnica pittorica” si basa sull’improvvisazione all’ interno di un disegno già definito. Mi piace creare spazi: così fa l’Amore, che non colma vuoti di contenuti predefiniti, ma crea spazi e lascia possibilità. Allo stesso modo nel progettare il mio viaggio di 7000 km ho creato una sorta di “struttura definita” da 5 traghetti indispensabili per muoversi tra Francia, Irlanda, Spagna del Nord, Spagna del Sud (Ibiza) e poi di Nuovo Spagna occidentale, Andorra e infine il rientro in Italia . Qui dentro ho diviso il percorso giornalmente tenendo presente che all’interno vi erano dei luoghi che volevo andare a vedere, ma allo stesso tempo ho lasciato il tutto flessibile senza prenotare alloggi, per sentirmi più libera e anche più tranquilla, perché nel caso avessi avuto qualche imprevisto non perdevo nessuna prenotazione. In tutto questo mi aiuta sempre la mia tendina monoposto, di quelle classiche che ancora si montano e smontano con i bacchetti e una buona ricerca preliminare in rete dei possibili ostelli presenti in ciascuna zona che mi prefiggevo di andare a percorrere. Una buona dose di preparazione, improvvisazione e flessibilità. Come piace a me, come mi rappresenta e mi permette di vivere il viaggio in serenità, scattando foto e video, e vivendo il tempo in una dimensione più “artistica” ,che mi fa sentire libera. Quindi un buon zaino, sempre lo stesso, il militare tattico anni ’80: ai lati, gli attrezzi per Furio e i pezzi di ricambio più funzionali, tra cui candele, leve, puntine, condensatori, resistenze, lampadine, qualche guarnizione. Oltre che  fil di ferro e fascette. Una delle due valigie laterali dedicate al “Beauty” del pupo (olio motore e olio catena) il resto per me: l’importante è che abbia un buon treppiede per scatti e autoscatti. Il resto sono le solite cose: antipioggia per me e per Furio, il costume, gli indumenti termici e…. La mia maschera da sub! Quella è indispensabile. La porto ovunque, sempre nei viaggi più importanti. L’ho portata sullo Stelvio, all’Elefantentreffen in Germania…Perché? Perché non si sa mai!
Che ne so che poi dove vado non ci sia il rischio di rimanere annegati nella Bellezza?

Credi che la moto in qualche modo ti abbia cambiata?

Furio mi ha letteralmente salvato la vita. Sembrerà esagerato che io dica questa cosa, ma senza di lui non sarei qui. È stato come la “motocarrozzetta” della mia felicità, in quei momenti più difficili in cui era come se fossi zoppa, lui mi ha condotto fino a qua. Credo che ciascuno abbia il proprio “Furio”, ed è una parte di noi che possiamo tirare fuori sempre, se ne abbiamo il coraggio. La moto mi ha cambiata perché io ho deciso che mi cambiasse. Ne avevo bisogno, era come un passaggio obbligatorio. Per quanto sia anche vero il contrario, ovvero che può essere pericolosa e toglierti la vita, la moto può anche dartela la vita. Come ogni cosa contiene questa bivalenza. Come l’Amore che può ucciderti o farti rinascere.

Nel tuo ultimo viaggio sei arrivata fino in Irlanda e ti sei imbattuta in strade favolose. Come hai tracciato la tua strada? Quali sono i consigli che vuoi dare a chi vuole partire per i paesi del nord?

A questa domanda ho già risposto. Quello che mi sento di dire è che non dobbiamo per forza seguire i percorsi degli altri motociclisti per sentirci tali: ciascuno di noi è il proprio viaggio. Noi ci esprimiamo con le strade che percorriamo e diventiamo in un certo senso quelle strade, ci fondiamo come in un magnifico ed unico quadro nell’opera d’arte che è la nostra vita ed il nostro bellissimo viaggio che abbiamo tracciato. Alla fine Furio ed io abbiamo disegnato in metà Europa con il tracciato del nostro viaggio di 7000 km, propria una Balena, quella balena che riemerge dalle acque dell’inconscio, che ti fa svegliare alle due di notte e ti dice : vivi la tua vita, traccia l’unicità del tuo viaggio, sempre, nel bene e nel male.
No ho l’auto, per questo giro sempre in moto, d’estate, in inverno, insomma in ogni stagione. Questo è il mio consiglio per chi vuole partire per i Paesi nordici: girate sempre in moto a casa vostra, con ogni condizione atmosferica e quando decidete di partire saprete sicuramente come organizzarvi.

Emozioni e non chilometri. Quali sono gli aspetti positivi di un viaggio in solitaria secondo te? E quelli negativi? (se ce ne sono). 

Non credo di aver mai fatto un viaggio in solitaria da quando c’è Furio con me. Mi piace quando ci arrangiamo a trovare dove dormire o decidiamo dove fermarci quando e dove vogliamo; o ancora rimanere in un posto a scattare foto anche per delle ore, senza che nessuno ci metta fretta, o ansia, perché magari arriva il buio, inizia a piovere, cala la nebbia e tutte ste menata qua. Io mi sento in sintonia con la mia moto, e la mia moto non mi rompe le scatole quando entro nella mia dimensione artistica in rapporto con i paesaggi, la strada e la natura attorno a me. Anche perché Furio fa parte del paesaggio quando viaggiamo, anche per questo mi piace immortalarlo spesso negli scatti dei miei viaggi. Senza di lui il viaggio non avrebbe senso. Furio a volte è metereopatico, ma lo conosco e gli imprevisti possono capitare anche se rimani sempre a casa. Non ho paura che capitino intoppi. Gli intoppi ci sono e ci saranno sempre qualsiasi cosa tu faccia nella tua vita, e allora perché devo essere spaventata di avere degli intoppi mentre faccio qualcosa che amo, con la moto che amo? Non ho intenzione di castrare la mia vita motociclistica. Quindi noi, comunque vada partiamo.

Progetti di viaggio futuri? Sempre in sella a moto d’epoca?

I miei progetti futuri sono in sella a Furio. Siamo una coppia fissa ormai. Penso che si meriti tanto. Per i suoi 50 anni mi piacerebbe portarlo a casa sua, in Giappone.

Cosa ti senti di dire alle motocicliste che hanno timore di viaggiare in moto da sole? 

Penso di non dover dire niente. Purtroppo e per fortuna le cose bisogna sentirsele. Penso che bisogna avere la “scintilla”, come in ogni contesto e ambito della vita. Bisogna avere la scintilla per iniziare un nuovo lavoro, per sposarsi, per partire da soli, per abbandonare vecchie abitudini, per comprare casa, per lasciare tutto, per innamorarsi. Il timore fa parte della nostra natura umana. La paura ci blocca e ci protegge allo stesso tempo. È un meccanismo e nulla di più. Di sicuro se non si impara ad ascoltare e a rispettare se stessi anche partire da soli in moto può essere molto difficile, perché oltre a rispettare se stessi bisogna rendersi bene conto di avere sotto il sedere una moto che merita ulteriormente di essere ascoltata e rispettata. Non mi sento mai sola con la mia moto, per questo faccio fatica a dare consigli su come partire da soli in moto.

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