Sandra Gomez Cantero è conosciuta a livello mondiale e ha dimostrato il suo valore fin da giovanissima nelle discipline del trial e poi dell’extreme enduro, diventando campionessa mondiale di Superenduro nel 2016 e collezionando numerosi podi durante la sua carriera. Inoltre, è stata la prima donna a livello internazionale a concludere il Redbull Romaniacs nella categoria Oro, ha partecipato alla Dakar nel 2022 ed è stata scelta come stuntwoman nella famosa serie TV “La casa di carta”, per impersonare Tokyo nella scena in cui irrompe nella Zecca di Stato con una moto con un salto spettacolare.
Hai iniziato giovanissima. Ci racconti com’è stato il tuo primo contatto con le moto?
Beh, iniziai a tre anni, perché a mio padre piacevano le moto e mi mise subito in sella alla moto, e all’inizio andare in moto era un gioco, con lui, con mio fratello, con mia madre e poi un giorno iniziai a gareggiare, in Spagna, in Europa, nel mondo! E alla fine mi ritrovo a passare la vita in sella alla moto, e lo faccio con piacere.
Sei stata la prima donna a terminare il Red Bull Romaniacs, uno degli eventi più duri dell’enduro, arrivando in tredicesima posizione. Come ti sei sentita nel rompere questo taboo al femminile dopo ben 17 anni?
Io stessa mi sono sorpresa! Quattro anni fa decisi di concentrarmi di più sull’hard enduro e vedevo le gare come tutti, come qualcosa di impossibile! Mi sedetti con mio padre e gli dissi che volevo partecipare a varie gare e a lui nessuna competizione sembrava adatta per qualche motivo, e aveva ragione: alcune gare erano difficili, altre erano lunghe o pericolose, e per me in quel momento erano impossibili. Però poi ebbi l’opportunità di partecipare alla Romaniacs alcuni anni fa nella categoria Bronze, ed è vero che la categoria Gold per me era un sogno irraggiungibile, io avrei voluto correre nella categoria Silver, la prima volta che gareggiavo seriamente, e poi Martin, l’organizzatore, mi chiese perché non provavo a gareggiare nella categoria Gold, e io economicamente non disponevo di molti soldi, ma lui mi disse che mi avrebbe aiutato se avessi gareggiato nella categoria Gold. Sapevo che era impossibile finire la gara, di fatto il primo anno finii all’ospedale, ma dopo la gara mi rimase il desiderio di tornare l’anno dopo, avevo visto come funzionava la gara, sapevo come dovevo allenarmi per vedere se ero capace di riprovarci e finire la gara. E mi toccò partecipare proprio all’edizione del Covid, in ottobre, quando non smetteva mai di piovere, fu molto dura! Io andavo comunque avanti, a poco a poco, volevo che le ruote continuassero a girare, anche se lentamente, ma senza mai fermarmi e gli altri piloti che mi ritrovavo in gara mi dicevano che ero pazza, che per una certa strada non si poteva andare e io ci provavo lo stesso, se i primi ce l’avevano fatta, significava che si poteva fare in qualche modo, dovevo solo capire come. E a poco a poco riuscii ad arrivare alla meta. Poi il terzo giorno è vero che non riuscii a finire e per il regolamento della gara puoi continuare a correre e dunque mi rimase questa spina nel fianco e l’anno dopo riuscii a finire tutti i giorni, facendo tutto il percorso e in modo pulito.
Quindici stagioni nel mondiale di trial con un quarto posto nel 2021. Cosa ti piace così tanto di questa disciplina?
Beh, la disciplina del trial è stata la mia famiglia fin dall’inizio, è stata la mia prima disciplina, mi piace moltissimo, è molto diversa rispetto alle altre perché non ha velocità, richiede uno sforzo mentale e anche la preparazione è abbastanza dura, perché puoi stare un’intera mattinata allenandoti sulla stessa pietra, tornare il giorno dopo e non riuscire a superarla, e questo, per noi che pratichiamo questo sport, ci appassiona. Se ci penso ora, quindici anni nel mondiale sembra una pazzia, non sono riuscita a vincere ma mi sono classificata due volte seconda, e nonostante ciò ho sempre voglia di vincere quando partecipo a una gara, a un campionato o quello che si può.
Com’è stato il passaggio dal trial all’extreme enduro?
Beh, furono una serie di circostanze. Con il trial è difficile vivere, e vidi che nell’hard enduro avrei potuto avere le cose non più facili ma diverse, ero stanca della situazione, di guadagnare quattro soldi per i campionati del mondo, stando tutto il giorno ad allenarmi e avevo quindi bisogno di una nuova opportunità e vidi che l’hard enduro, dove mio fratello stava già gareggiando, poteva offrirmi un’occasione e nuove motivazioni… e posso dire che le trovai, anche i nuovi sponsor come Mitas, Leatt… tutti mi hanno trattato come una grande pilota, e questo è apprezzabile perché nel trial non è facile trovare questo approccio. Fu un inizio difficile, ti dico, nemmeno io pensavo di poter finire quelle gare, e oggi come oggi mi sento ancora motivata a fare delle gare alle quali non ho ancora partecipato o terminare alcune come l’Erzberg Rodeo o qualche altra pazzia.
Come ti prepari fisicamente e mentalmente alle gare più difficili, come ad esempio la Dakar?
Ogni gara è diversa e anche la Dakar lo è. Io per la Dakar mi preparai pensando a una gara molto lunga, sono molti giorni, io non avevo mai fatto due settimane di gara, avevo come riferimento la Romaniacs, le gare ISDE (International Six Days Enduro) o gare simili, e dunque sapevo che era una settimana in più. Non avevo molto tempo, cercai a livello tecnico di imparare più possibile con la moto e con il roadbook cercai di non sbagliare troppo. Sapevo che avrei fatto degli errori perché ero una completa principiante. Mentalmente, mantenevo la consapevolezza che mancava sempre molto alla fine, dopo una giornata ne rimanevano sempre altre davanti, giornate molto lunghe. E in questo modo alla fine riuscivo a far sì che le giornate non sembrassero così lunghe, ed ero consapevole che anche se un giorno andava bene quello dopo poteva essere più duro e più lungo, e cercavo quindi di contrastare quella fase, che ti succede mentalmente anche in Romania o durante la sei giorni, dove ci sono giornate in cui finisci distrutta, ti svegli al mattino stanca morta, ma scendi da letto e il tuo corpo inizia a riattivarsi lentamente e tu devi avere la mentalità che manca ancora molto. In Romania per esempio, quando ero alla fine della gara nelle rette finali dove vedi quasi la meta, continuavo a pensare “manca ancora molto”, perché non sai se manca ancora una salita o una montagna o altre difficoltà, quindi finché non passi sotto l’arco di Red Bull è meglio continuare a pensare che c’è ancora gara davanti.
Secondo te, quanto sono importanti le donne che fanno risultati nel motorsport? Pensi che la visibilità aiuti altre donne a raggiungere i propri obiettivi?
Credo che sia importante, per me per esempio Laia Sanz è stata importante, perché questo ti fa credere che ci sono cose che sono possibili e hai un punto di riferimento, e almeno hai un riferimento per arrivare dove è arrivata lei, anche se con Laia è stato un punto di riferimento molto ambizioso ed è stato impossibile arrivare, ma almeno lei ha stabilito una meta e per noi la base è stata più semplice. Nell’hard enduro, dove invece non c’era nessuno e mi sono ritrovata a essere l’unica, forse l’inizio è stato più difficile, ma io mi fissai che ero una pilota come gli altri, quando mi metto il casco mi tratteranno come un pilota, questo è ciò che ho sempre voluto e ora l’ho ottenuto, ci sono sempre delle persone che si oppongono, e altri invece che mi trattano come una rivale, come io vedo loro, ed è ciò che siamo: piloti.
Sei stata anche stuntwoman nella famosissima serie tv La Casa di Carta. Come ti sei sentita quando ti hanno ingaggiato? E come hai vissuto le riprese?
Avevo già lavorato come stunt precedentemente, soprattutto in TV. Quando feci da stunt per la “Casa di Carta” la serie non era ancora così famosa, credo fosse la prima o la seconda stagione, quando non era così conosciuta, e per me alla fine è un altro modo per poter arrivare a fine mese, ma mi diverte molto, alla fin fine sei in sella alla tua moto, ti chiedono delle sfide che a volte si possono fare a altre no, e tu devi decidere dove sta il limite, è un lavoro che mi piace e spero che continuino a chiamarmi e contino su di me!
Qual è stata la vittoria più emozionante della tua carriera?
Dunque, è una domanda difficile… ci sono molte vittorie, forse una che è stata particolarmente significativa fu la prima volta in cui vincemmo il Trial delle Nazioni ad Andorra, io avevo quindici anni, e lì capii che potevo diventare una professionista, in quel momento stavo gareggiando nel Mondiale di Trial, non l’avevo mai fatto tutto partecipando a tutte le gare, ne avevo fatte alcune quell’anno e l’anno prima, e vidi che cosa significava vincere e mi piacque. E da lì nacque una motivazione in più per migliorare l’anno successivo.
Quali sono i tuoi piani per il prossimo futuro?
Beh, per ora continuerò nell’hard enduro, ho molte gare da fare ancora e il Mondiale adesso è più lungo, viaggiamo in più paesi e cercherò di fare tutte le gare economicamente possibili, e nel mondiale di Trial cercherò di fare delle gare, compatibilmente con l’altra disciplina. E il prossimo anno mi piacerebbe tornare a fare la Dakar, non smetto di cercare un supporto e degli sponsor, ma è complicato. Mi piacerebbe molto, perché quest’anno è andato tutto in fretta, ho imparato molto e mi piacerebbe mettermi alla prova e capire fino a dove posso arrivare.
Che consigli ti senti di dare alle donne che vogliono diventare pilote di moto?
Che si divertano! In qualsiasi disciplina. A me dicevano che ero pazza per voler fare hard enduro, ma a me piaceva. Quando iniziai nella mia regione, quando ero una bambina, ero vista come una tipa strana, e mi chiamavano “la bambina”, ma a me piaceva e dunque l’opinione altrui non deve fermarci. E il livello al quale vuoi arrivare con la pratica si ottiene, perché io per esempio all’inizio pensavo che ciò che faccio ora fosse impossibile, ma con molto allenamento tutto arriva. Quindi, se a te piace, che nessuno ti dica che non puoi farlo!
Intervista di Aprile 2022 by Lisa Cavalli
Traduzione: Lisa Di Blas
ph. dal profilo Facebook di Sandra Gomez