Io adoro le moto. La mia passione per loro è abbastanza folle. Adoro provarle, ormai lo avrete capito. Le moto nuove sono un grande mix di novità, tecnologia, curiosità, innovazione. Ma ho un debole per le moto che hanno qualche anno addosso. Magari i modelli dei primi anni 2000. Gli anni che, per me, hanno visto nascere la passione per gli scooter. Gli adesivi sui motorini, i giri in due, Malossi e Polini. Hanno un fascino, un carisma e una sensualità che è difficile esprimere a parole.
Finchè io, alle scuole medie, sentivo crescere, questa bellissima passione, i grandi avevano a disposizione delle moto che, ancora oggi, per me, sono dei miti su due ruote. Quelle carene grosse e imponenti, gli scarichi in inox immensi delle giapponesi soprattutto, l’aura di leggenda che si creava intorno ai marchi quando correvano la domenica in pista. Tra le altre, oltre alla Ducati 999 che ho anch’io, c’era lei. Aprilia. L’Aprilia RSV 1000.
Questa non sarà una scheda tecnica, anzi. Se cercate una scheda tecnica ne trovate tantissime sul web. Questo è un racconto. Questo è il mio racconto; un racconto di varie prove, non solo una, che ho avuto modo di fare con lei, una moto che mi ha sorpreso davvero tanto. Questo racconto, ve lo dico, potrebbe essere tanto di cuore e poco oggettivo ma, per me, va bene così.
Le moto, dentro di me, non sono oggetti.
Sono esseri che hanno un’anima e che, in quanto tali, possono creare un legame con chi le guida. Possono sentire chi sta guidando e trasmettere la loro emozione tanto quanto tu, pilota, trasmetti alla moto che hai sotto al sedere le tua.
Qua non ho dovuto organizzare un appuntamento in concessionaria, la moto in questione, una RSV dell’ottobre 2002, stesso anno e stesso mese della mia 999, è del mio migliore amico Cristian. Conosco Cristian dal 2015 e, per me, è una persona tanto importante. E’ mio fratello. Litighiamo dieci volte al giorno, ma per il resto andiamo d’accordo. Di motori se ne intende parecchio, soprattutto di quattro ruote. Ha sempre un sacco di informazioni da darmi. Ecco, aspettate, cioè, ehm, potrebbe essere che leggiate delle ruffianate abbastanza grandi per lui da parte mia, ma, diciamocelo, devo tenermelo buono e aver sempre cara la sua moto. Sai com’è…
Cristian, agli inizi, non era molto convinto della mia svalvolata passione per le moto. Anzi. Capitavano spesso discorsi del tipo che i motociclisti sono tutti matti, che per strada si fanno male, che le moto sono pericolose. Nel 2017, dopo mille peripezie, mi sono portata a casa la mia Ducati 999 e lui, nel ricevere la notizia, mi ha cortesemente chiesto cosa ne facessi di un attrezzo del genere. Tanto per dire. Poi, però, c’è stata la sua prima prova. A luglio del 2018 ha girato la chiave nel quadro della Ducatona, è salito in sella, ha messo la prima ed ha fatto un giretto. Quando è sceso, oh ragazzi, le cose erano cambiate. E parecchio. Ci ha messo mesi a ammetterlo ma era successo. La moto lo aveva preso. Ha fatto la patente ed è arrivato l’acquisto.
Impossibile dimenticare quel periodo. Si era comprato la sua prima moto grande. Non era una moto qualunque. Io ero incinta della mia terza figlia, avevo avuto la stramaledetta idea di non attivare le assicurazioni delle moto e, a settembre, ero stanca. Avrei dato un occhio pur di farmi un giro su una due ruote. Sono diventata verde Kawasaki dall’invidia quando l’ho saputo. In foto era davvero fighissima.
Mannaggia a lui! Volevo vederla dal vivo e, assolutamente, volevo provarla. A qualsiasi costo. Sono passati mesi, fino a maggio del 2020, quando, finalmente, ho preso il manubrio fra le mani. Aprilia RSV 1000. Nera, vecchiotta e grande. A primo impatto è davvero imponente. Diversa come concezione stilistica dalle mie Ducati, molto più importante la sua presenza. Le dimensioni mi hanno un attimo bloccata ma poi…mi ha lasciata a bocca aperta! Già dai primi metri sembrava che mi stesse dicendo che non dovevo aver paura. Che andava tutto bene.
Una volta salita, io non volevo più scendere. Sono riuscita a maneggiarla molto più facilmente delle mie. Molto più leggera all’anteriore, anche nelle manovre da spenta e nei tratti lenti in prima. I primi cambi di marcia sono stati ancora più sorprendenti. Ragazzi non era lei a decidere cosa fare,
come i miei due amati cancelli bolognesi, ma io! La frizione più dolce, sia sulla leva che sulla pedalina. Ci mancherebbe, non è a secco e sicuramente è più semplice. Le marce che entravano di filato, senza strattoni, il bicilindrico, sempre molto sincero, che ti dava coppia subito e, sì, il telaio. Niente traliccio e la situazione volge al meglio per chi guida. Lei mi ha parlato, fin da subito, e ci siamo capite. Le dimensioni e l’aspetto da bisonte che ha, rispetto a altre concorrenti, soprattutto sono solo la prima apparenza.
Si va un gran bene con lei. Occorre un po’ capirla e adattarsi a quegli spazi e quelle grandezze davvero notevoli tipiche dei primi anni duemila. Il busto proteso in avanti, il serbatoio immenso che ha – è davvero grande ve l’assicuro – il posteriore con il design come i caccia, come quell’SR che io vedevo alle medie in versione cinquantino. Riconoscibilissimo.
Dopo alcune prove fatte con lei, su vari fondi e varie velocità, ho avuto la netta sensazione che fosse l’opposto delle mie Ducati. Ben piantata al posteriore, anche con il gommone in 190/50 17, e molto leggera davanti. A volte proprio tanto leggera, sembra quasi galleggiare sulle forcelle. La ciclistica, pur avendo vent’anni, è un bel premio per chi la guida. Il motore, il famoso bicilindrico a V da 60 gradi, che parte leggermente più dolce rispetto ad altre coetanee, ti fa conoscere poi una curva di coppia che è tutto un progressivo con una spalmata di potenza notevole.
Non c’è elettronica ragazzi. La moto non ti aiuta quando sei in un momento di crisi, sei tu che la guidi, tanto di polso e tanto di più di culo e di gambe, ma sei tu. La mancanza di elettronica sulle moto dell’epoca è direttamente proporzionale al loro fascino. Sono affascinanti ragazzi. Affascinanti, sensuali, misteriose e cattivelle. Che modello di moto!
Anche lei forse poco apprezzata nei suoi anni ruggenti, è invece tutta da conoscere e scoprire. Io non volevo più scendere. Come? L’ho già detto? Ho chiesto di provarla ogni volta che ne si è presentata l’occasione e, da motociclisti, sapete che occorre fidarsi davvero tanto per lasciare la propria moto a un’altra persona. Un feeling con lei forte e continuo, confermato sempre. Non è semplice da usare, ma merita, merita davvero una sfaticata, i polsi doloranti e la schiena a pezzetti.
Ragazze mie, non fermatevi davanti a un aspetto grande e cattivo. Le apparenze ingannano. Provate, chiedete e scoprite. Scoprite!
Fosse anche per una volta soltanto. Non ponetevi limiti mentali. Neanche le moto ve ne metteranno, anzi. Saranno loro a farvi capire che ce la potete fare, che ce la fate. Non a parole. Se vi approcciate con il rispetto che meritano, perché, lo ribadisco, quelle due ruote non sono oggetti, sono entità semi – divine create da qualche dio dei motori e donate all’essere umano per farlo veramente sognare ad occhi aperti, saranno proprio loro ad aprire il cuore nascosto dalle carene, metro dopo metro, e sentire i vostri battiti andare a pari con i loro giri.
Grazie Cristian per avermi fatto conoscere il ruggito di Noale.
Sabrina Godalli
MissBiker 2021
ph. credits Cristian Paganin